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Peace, Love and…Freedom!

Oggi, 24 maggio, non mi sono potuto esimere dall’obbligo morale!
In questa stessa data, ma settantuno anni fa, nasceva a Duluth, una piccola cittadina del Minnesota, colui il quale, ancora oggi, è ritenuto una delle personalità musicalmente più influenti degli ultimi decenni, fonte ispiratrice di intere generazioni di musicisti e parolieri e che, con la sua filosofia pacifista è stato la linea guida di movimenti a favore dei diritti civili negli Stati Uniti degli anni Sessanta.
Signore e signori, Robert Allen Zimmerman, al secolo Bob Dylan.

Non sarò certo io a elencare le motivazioni che hanno spinto numerosi esperti musicologi e critici, a porre questo eclettico artista nell’élite assoluta dei musicisti (e non solo) di tutti i tempi, o perché l’insignito Commendatore delle Arti & delle Lettere possegga una lista di riconoscimenti e premi a dir poco smisurata.
Anche se armato delle migliori intenzioni nel ripercorrere la sua vita e la sua razionalità creativa, sono certo violerei l’inviolabile diktat dei tremilaseicento caratteri, giustamente imposto all’interno di questo blog e, nonostante ciò, offrirei una descrizione certamente lacunosa.
Preferisco quindi discutere Dylan con voi attenti lettori, focalizzandoci sulla sua accezione di artista socialmente impegnato e di rottura (come forse pochi altri osarono essere in quegli anni) e, come manifestazione di questo, v’invito a rispolverare (o scoprire per la prima volta) ciò che, a mio giudizio, è una delle sue creazioni maggiormente significative in questo senso: Like a Rolling Stone.
Brano dalla melodia tanto semplice quanto trascinante, che regala una musicalità ottimistica e spensierata, in contrapposizione al testo che, invece, affronta un tema tutt’altro che leggero, quale è la vita del vagabondo. Rolling stone, infatti, è l’immagine emblematica per eccellenza che, già i grandi maestri del Blues come Leon Payne o Muddy Waters, utilizzavano come metafora per indicare i senza tetto. Anche il famoso e omonimo gruppo costituito da Jagger, Richards & co. trae ispirazione proprio da quest’allegoria.
Nello specifico, il testo, tratto da uno scritto di circa venti pagine che Dylan produsse d’impulso durante un lungo “ritiro” nella sua casa vicino Woodstock, racconta della ricca Miss Lonely e della sua inaspettata caduta in disgrazia. La condizione che, fatalmente, muta da agiata a, per l’appunto, senza tetto, costringe la “signorina solitudine” a scontrarsi con tutti i suoi preconcetti che, del resto, coincidono alla perfezione con quelli della classe borghese del tempo. “..How does it feel to be on your own, with no direction home, like a complete unknown, like a rolling stone..?”
Il brano è evidentemente un rimprovero sarcastico e quasi ammonitore, verso i conservatori “benpensanti” dell’epoca, che misurano il valore delle persone dal conto in banca che posseggono o dagli status symbol che esibiscono. Concetto, tra l’altro, di una disarmante quanto meschina attualità.
Dylan si chiede se siamo pronti a rinunciare a scomodi compromessi, avendo il coraggio di seguire le nostre aspirazioni fino in fondo, rischiando tutto e provando così a essere, finalmente, all’altezza dei nostri stessi desideri.
“..Quando non hai niente, non hai nulla da perdere. Adesso sei invisibile e non hai più segreti da nascondere..”.

Che sia proprio questa la strada maestra verso la Libertà?

Massimo Biondi

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