Questa settimana siamo andati a Londra! Tra una passeggiata ad Hide Park e un cartone di fish & chips abbiamo curiosato nelle librerie alla ricerca di autori contemporanei.
Abbiamo così scoperto che Londra, città d’avanguardia per definizione, è stata la prima città a lanciare la moda dei racconti che trattano di personaggi e storie multiculturali.
Niente di più naturale per una città che è nel corso della storia è cresciuta per effetto di consistenti flussi migratori. L’integrazione culturale, con cui da secoli i Londinesi fanno i conti, è un tema che non ha mai perso il suo fascino, soprattutto dopo gli attentati del 2005.
I libri che parlano di minoranze etniche hanno eco anche nel resto dell’Europa, soprattutto in quei Paesi come l’Italia, dove la multiculturalità rimane, a seconda dei punti di vista, una minaccia ancora da affrontare … o magari un’opportunità da cogliere.
Hanif Kureishi, reso famoso dalla sceneggiatura del film “Lavanderia a gettoni” (My beautifull Laundrette), è stato uno dei primi scrittori londinesi figlio di immigrati a raccontare la città attraverso gli occhi di un pakistano. Nel suo libro “Il mio orecchio sul suo cuore” (uscito in Italia un anno fa) racconta la storia di un ragazzo nato e cresciuto a Londra che si imbatte per caso in un manoscritto del padre mai pubblicato. Il romanzo, dal titolo Un’adolescenza indiana, lo spinge un’analisi nella storia della propria famiglia, una scoperta di valori e della cultura che l’hanno caratterizzata e infine ad un’analisi delle proprie scelte e delle proprie contraddizioni. E’ un romanzo che parla della distanza generazionale che diviene più marcata li dove c’è anche una distanza culturale.
Le contraddizioni della multietnica società inglese sono tema centrale del romanzo “Sotto la nevicata” di Caryl Phillips distribuito anche in Italia. Scrittore di origine caraibica, cresciuto a Leeds in Inghilterra. Il personaggio principale, Keith Gordon, figlio di immigrati indiani, è dirigente dell’ufficio per l’immigrazione a Londra. Vive la sua vita tra la volontà di diventare scrittore e l’impossibilità di dedicarsi a questa professione in un momento in cui la sua vita è governata dal caos. Un divorzio imminente, una figlia che frequenta delle gang di strada e le mille domande che lo attanagliano circa i disagi degli immigrati e il razzismo nella sua nazione. Attraverso Keith Gordon, Phillips si interroga sul concetto di identità e di razza e scopre quanto la Londra contemporanea sia intrisa di contraddizioni sociali che a dispetto della multiculturalità rendono molto difficile l’espressione di una vera identità.
Di tono decisamente umoristico è invece “Agrodolce” romanzo di Timothy Mo. Scrittore nato da papà cinese e mamma inglese, che all’età di sei anni dopo il divorzio dei genitori va a vivere nel retro della loro casa, nel quartiere di servi cinesi. L’esperienza dura pochissimo, dato che viene prontamente ricondotto dalla mamma ad un a vita di stampo inglese, ma segna Timothy che si sente diviso tra due identità culturali e linguistiche. Questa scissione è poi stata tramutata in storie raccontate nei suoi libri. Agrodolce, libro che trae il nome dal maiale tipico della cucina cinese, è un libro dove humor e dramma si mescolano.
Il libro racconta la storia dei Chen, famiglia di Hong Kong, alla ricerca di fortuna nella Londra degli anni settanta. In un Paese dove impazza la cucina cinese, la famiglia Chen rifila pasti di cattiva qualità ai numerosi clienti che ogni sera fanno la fila per una cena trendy. Vivono nel pieno della cultura inglese i Chen, ma sono ben attenti a non farsi “contaminare”rispettando pienamente i valori e il modus vivendi che la cultura cinese impone, soprattutto per quel che attiene il rispetto dei legami familiari. Tali legami portano i Chen a contrarre ingenuamente un debito con una famiglia cinese in odore di mafia. Questa vicenda li costringerà ad allontanarsi dal proprio quartiere e ad aprire un take away. Da qui inzia una esplorazione più attenta da parte di alcuni membri della famiglia delle abitudini e cultura inglese, l’apertura si insinua gradualmente nelle pieghe della diffidenza. Il libro, che ha scatenato anche una critica accesa, vuole nelle intenzioni dell’autore essere una critica molto forte delle insidie insite nella cultura cinesa.
Timothy Mo afferma infatti che “La cultura cinese è una cultura pericolosa, in cui le cose buone e le cose cattive si confondono perché nascono dalla stessa idea, dagli stessi valori. Il rispetto per gli anziani è in sé un’ ottima cosa, purché non porti alla incapacità di critica. E così la lealtà e la solidarietà familiare che, portate fuori dalla famiglia, nel mondo, sono responsabili delle forme associative di tipo mafioso. I cinesi vedono nella famiglia, non nell’ individuo, l’ unità della sopravvivenza. E questa mancanza di fiducia nell’ individuo ha creato una società che non è in grado di sostenere nessuna forma di struttura democratica. Che ha sempre portato al totalitarismo e a tirannie corrotte. Alla corruzione del regime mandarino o al totalitarismo di quello comunista, che del resto non è meno corrotto”.